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CUORE DI SEPPIA

Journal of poetry - ART - SPIRIT - LIFE



venerdì 31 dicembre 2010

[ Alla fine ] BUON PRINCIPIO


Così parto col buio.
Una serie infinita di tornanti innevati, curve a schiera, curve a gomito, curve di zucchero a velo, mi separa dalla città rovente.
Fa capolino una volpe, per caso.
Attraversa affannata alla vista dei fari.
Quattro zampe gelate. Quattro impronte di ghiaccio.
Ogni passo un cristallo stampato.
A quanto pare il silenzio.
Un filare di tronchi sbiancati che infilzano il cielo.
E sui rami le streghe.
A cantare. Stonate.
Il paese di pietra che dorme si raccoglie su a Santa Lucia.
Mille fiaccole incendiano l’aria.
E fiammelle di luce, e scintille a sonagli, e spari. Fuochi siderali.
Vedo le case.
Per un attimo appena.
La montagna.
Per una attimo ancora.
E le mani, le sento tremare.
Tagliate dal freddo.
Da questa eruzione.
Che è il mio pianto improvviso. Un’eccedenza del cuore.
Della vita (che bella che è). Della sera.
Un falò consuma i resti dell’anno che è stato.
Quello che viene principia a luccicare.
È già più che lanterna.
Audace.


In foto: Civitella Alfedèna (AQ), Fiaccolata di fine anno

sabato 25 dicembre 2010

È uno di quei giorni che... Natale!


Arriva sempre per caso la felicità.
In un biglietto di auguri che non ti aspettavi.
In un nuovo, dolcissimo, incontro.
Nella chiamata che ti raggiunge finalmente per un posto di lavoro.
Sono grata per tutto quello che ho adesso.
Per tutto quello che so non potrò mai avere.
Per le salite e le discese.
Dell’anima mia ballerina.
Grata per la scrittura.
Per le mie miserabili indecisioni, i miei pensieri corvini,
ogni euforia.
Grazie per aver condiviso con me tutto questo.
Se troverete sfide impervie nella vita, vi auguro la forza per poterle affrontare.

Buon Natale amici miei. Con tutto il mio cuore (di seppia).
Sara.

venerdì 17 dicembre 2010

RI-epilogo

Tempo di bilanci (e di rilanci).
2010 da sballo!! [appropriato il gergo Mocciano? Oddio, ho detto Mocciano. Questo non è appropriato].
Ho scrollato dalle spalle le macerie dell’anno precedente. Qualcuna l’ho portata con me. In Svezia. Ne ho fatto un muro su cui arrampicarmi quando volevo guardare in alto, più degli altri, fino a pensare di poter puntare al cielo, sfidata dal sole.
Di mezza estate. Di mezzanotte.
Ho incontrato Laura.
Ho capito quanto vorrei un’amica come lei anche qui.
Con qualcosa di luminoso nella testa, da inseguire, che mi stia sempre avanti, migliore di me, più forte di me, più divertente.
Ho avuto tempo per stare lontana da casa.
E non mi è mancato nulla. Ho scoperto che nessuna promessa vale un’amicizia nata per caso, e quanto questa sia più vera. So fare fotocopie fronte-retro, la torta di carote e sono imbattibile nel bruciare i biscotti.
Ho compiuto 26 anni. Visitato il museo di Pippi Calzelunghe. Distrutto un po’ di cose, ma sempre col sorriso. Sono tornata, lasciando parte di me indietro. Qualche amico se ne prenderà cura tra quelli rimasti. A loro penso continuamente. Ho lasciato che qualcuno si allontanasse. Che qualcuno mi cambiasse per sempre. Ho continuato a scrivere. Ricevuto sorprese a lunga scadenza. Presto porteranno frutto. E avrò tempo per abituarmi all’idea che (cacchio) sarò zia!
Nessuna di queste cose era sulla mia letterina l’anno scorso.
Babbo Natale non l’ha letta, ha fatto finta di dargli un’occhiata, poi sarà tornato alla sua birra ghiacciata.
E per fortuna che ci dà sotto con l’acol, mi viene da dire.
Ha fatto un casino, ma io me la sono spassata!

martedì 30 novembre 2010

C'è ancora qualcosa di democratico in questo paese.
Cosa?
Un palazzo di cemento impastato a sangue.
Cioè?
Un palazzo di cemento impastato a sangue.
Ok, ma non ti seguo.
Un condominio qualunque. Hai presente?
Certo che ho presente.
Un sali e scendi di scale con le buste della spesa, una chiacchiera sulla porta, il cane del vicino che ti piscia sul tappeto e tu che campi a oltranza.
Ho presente. Ma questo è democratico?
Lascia stare. Il pianerottolo semmai è diplomatico.
Cosa è democratico allora?
Il tetto.
Il tetto?
Il tetto. E pure il quinto piano.
Non capisco. Parla chiaro.
Allora ascolta: quando vorrai farti sentire sali in alto.
E cosa faccio?
Decidi.
Cosa?
Se alzare la voce o abbracciare il silenzio.
Parli dei ricercatori?
Parlo di te e di me. Di una generazione fantasma che osa ancora sperare, e di un uomo vinto dalla malattia che ha smesso da tempo. Qualcuno si arrampica, qualcun altro si lascia cadere.
Capisco.
Puoi far sentire quanto ci tieni e quanto non ci tieni più.
Quindi salgo sul palazzo.
Sali sul palazzo.
Sai che forse hai ragione?
Ho sempre ragione.
Ma così non sei molto democratico.
Non ho mai detto di esserlo.

venerdì 19 novembre 2010

[ prima che adesso ]


Da quale inverno celeste discendo?
Quali avanzi di stella saldarono il mio corpo?
Da chi eredito il nome e perché questo?
La mia voce, le ciglia, il polpaccio? Ogni sillaba del mio portamento?
Quali spazi negati ho abitato?
Da quali faune provengo?
Quante antiche conchiglie ho rubato agli abissi?
Quanti magneti e costellazioni?
Di quali uccelli conservo i verdi lineamenti?
Cosa ricordo del sasso?
Della mia stanza lunare chi pagava l’affitto?
Chi ha custodito i sogni che avrei fatto?
Tra il perpetuo e l’ambito il mio seme dov’era?
Quante stagioni ha conosciuto il mio alfabeto,
prima che avessi fiato?
Prima che adesso?

venerdì 12 novembre 2010

Come sedersi su Clinton ..


Suona strano, ma è andata così: ho fatto merenda su Bill Clinton. In questi giorni vengono premiate a Stoccolma le maggiori personalità della cultura e delle scienze, selezionate per il loro lavoro a favore dell’umanità. A Gamla Stån sorge un museo dedicato al Nobel, così decido di andare. Con la mia guida in inglese seguo tutto il percorso che va dal 1901 ad oggi. Sul soffitto scorrono le foto delle più grandi menti del secolo scorso, tranne quella di Jean Paul Sartre che rifiutò l’onorificenza nel 1964, mentre due schermi enormi illustrano ai visitatori l’impatto delle loro scoperte. Sosta immancabile è quella al Satir Kafè. I premi Nobel passati di qui, e il presidente americano che per primo ebbe l’idea, hanno lasciato la loro firma sul retro di ogni sedia del bar. L’idea è carina: perfetti sconosciuti a tavola con grandi uomini. Peccato per il conto. A quello dovete pensarci voi.


Pubblicato su A, num. 46, novembre 2010

domenica 31 ottobre 2010

Il supereroe viaggia in bus


Che il sistema dei trasporti in Svezia sia efficiente è fuori discussione. Che i suoi dipendenti si accertino con apprensione che tu abbia davvero fatto rientro a casa ha dell’incredibile. Faccio le ore piccole con i miei amici. Qualcuno si offre di riaccompagnarmi, ma è sabato e a Stoccolma i mezzi viaggeranno senza interruzione per tutta la notte. Così decido di prendere il primo autobus di passaggio sperando che mi lasci sotto casa. L’autista è gentile, mi spiega il tragitto che resterà da fare a piedi, mi saluta con fare rassicurante e prima di ripartire, lancia un’ultima occhiata paterna dalla mia parte. Pensavo fosse abbastanza, ma sbagliavo. Qualche giorno dopo, passeggiando in centro, mi sento chiamare. Ha tolto i baffi, ma lo riconosco. È felice quando realizza che non ho avuto problemi a rincasare e solo allora si congeda da me sollevato. Poi, da quella volta non l’ho più rivisto. Che si materializzi solo in caso di bisogno da buon supereroe patentato? Be’, io ci conto!



Pubblicato su A, num. 44, novembre 2010

domenica 24 ottobre 2010

Monday's child ...


Monday’s Child è una delle più celebri nursery rhymes (filastrocche per bambini) e predice il carattere dei bambini in base al giorno della settimana in cui avviene la loro nascita.
La sua origine è nell’Inghilterra del sud (dove era già presente nel XVI secolo).
Ne esistono diverse variazioni.
Questa è la versione più diffusa.
Ho trovato fosse corrispondente al vero, per quanto mi riguarda penso sia proprio così, o almeno spero di andare lontano..

I'm a thursday's child.
E voi, che bambini siete ?


Monday’s child is fair of face,
Tuesday’s child is full of grace,
Wednesday’s child is full of woe,
Thursday’s child has far to go,
Friday’s child is loving and giving,
Saturday’s child works hard for a living,
But the child who is born on the Sabbath Day
is bonny and blithe and good and gay.


Il bambino nato di lunedì è bellissimo,
Il bambino nato di martedì è pieno di grazia,
Il bambino nato di mercoledì è pieno di tristezza,
Il bambino nato di giovedì deve andare lontano,
Il bambino nato di venerdì ama e dona,
Il bambino nato di sabato lavora duro per vivere,
Ma il bambino che è nato di domenica,
è carino e spensierato, buono e allegro.

mercoledì 20 ottobre 2010

M A L * D I S V E Z I A


Ogni giorno torna indietro l’eco della mia vita a Stoccolma.
Il ricordo di una passeggiata, della metro presa di corsa, del 69 che arranca tra la folla e si fa strada fino a Sergels Torg.
Il profumo del dolce della sera, la voce dei pugliesi che sono ancora là.
Tutte le ore passate in ufficio con Laura. Quelle pesanti del lavoro in archivio, quelle indimenticabili delle giornate afose col direttore in ferie e la musica a tutto volume.
Quanto mi manca la città. Stanotte l’ho sognata.
Trattenevo a stento il mio ombrello, il vento lo sospingeva ovunque, di colpo a destra, poi con forza dal lato opposto, mai che fosse fermo sulla mia testa.
Una pioggia fredda mi inzuppava le scarpe.
Qualcuno che scherza sui miei capelli arruffati, io che li raccolgo tutti in una coda e col sorriso faccio cenno di entrare.
Da Hermans per l’ennesima volta. Tutti insieme davanti a un pasticcio di melanzane e al tofu ricco di fibre.
Per me il tempo è fermo a quella cena. L’ultima con le persone incredibili che ho avuto l’onore di incontrare.
Poi apro gli occhi. Sono in Italia.
Eppure che sollievo sapere di non aver solo sognato.
Ora ho un’amica a Meda, Vale è tornata in Sardegna e gli altri sono ancora in Svezia.
Ognuno sulla sua strada. Ognuno di nuovo alla propria vita che, per poco, ha fortunatamente incrociato la mia, cambiandola per sempre.

mercoledì 13 ottobre 2010

P R E s e n t i M E N T O



Ricomincia.
Una foglia cade.
La terra trema di silenzi.
È già formica cieca il buio.
Si arrampica alla mia finestra. Distende quelle zampe storpie,
mi riconosce.
Piove.
Quest’autunno porterà nuove cose.
Ho radici d'argilla, pulite dal sale.



In foto: Rio Tinto XXII, by Julio Segura Carmona

lunedì 4 ottobre 2010

Santa Kanelbulle


Non che avessi bisogno di un incentivo per ingozzarmi di dolcetti alla cannella, però proprio oggi, 4 ottobre, ricorre in Svezia il Kanelbullens dåg, la giornata dedicata all'inimitabile ghiottoneria scandinava. Capirete bene che, da fedele devota quale sono, convertita da provvidenziali armonie celesti alla pausa-lavoro ipercalorica, dovrò rendere onore all’evento dando il mio modesto, seppure indispensabile, contributo.
Fortuna vuole che io ne abbia ancora molte scorte (quelle di Saturnus!), trafugate in Italia prima della mia partenza. Basterà scongelarle, scaldarle nel fornetto e … mmhhh.. perché manca ancora così tanto alla merenda..?
Non so voi amici miei, ma io non vedo l’ora di darci sotto con le celebrazioni!

mercoledì 29 settembre 2010

Svedesi alle urne . .


Con soli 9 milioni di abitanti, sparsi in un territorio vasto quasi il doppio rispetto a quello dell’Italia, la Svezia rappresenta da sempre nell’immaginario comune un approdo felice per numerosi stranieri. L’elevata qualità della vita e uno stato assistenziale tra i più elevati al mondo, attraggono ogni anno migliaia di immigrati (circa il 18% sulla popolazione totale) in cerca di occupazione. Questo almeno fino a ieri. È di questi giorni infatti la notizia che, per la prima volta nella storia del Paese, un partito xenofobo entrerà in Parlamento, avendo superato la soglia di sbarramento del 4% alle ultime elezioni. La svolta era nell’aria. Uno spot televisivo rimbalzato per giorni sulle reti nazionali, mostrando una vecchietta (europea) travolta da uno stuolo di vocianti musulmane in burqa con pargoli al seguito, invitava la popolazione a fare la giusta scelta. I democratici parlano di società più omogenea, chissà che non diventi solo più razzista.

venerdì 17 settembre 2010

Dieta e bon ton


Da domani a stecchetto! Così esordisco tutte le volte prima di tuffarmi a pesce sull’ennesima Kanelbulle (un tipico dolce svedese alla cannella), o dopo aver onorato degnamente la tavola di un ristorante del centro. Ogni lunedì, animata da buone intenzioni, riempio il carrello di cereali, yogurt e frutta, evitando il reparto merendine o gli scaffali dei biscotti al cioccolato che fin troppo bene conosco. Mi dirigo alla cassa con il ghigno di sufficienza della salutista convinta e poi proseguo verso casa a piedi per fare un po’ di movimento. Fin qui tutto secondo i piani. Se non fosse per Laura, la mia coinquilina, e la sua torta di carote. «Ne vuoi un po’» mi chiede, «è ancora calda». Per educazione non mi sento di rifiutare: «solo un pezzetto però». Ed è la fine! Con queste parole firmo l’armistizio, infrango il digiuno e riconosco la superiorità del nemico. E se tra una chiacchiera e l’altra ci scappa anche il bis, non c’è problema, stavolta ho deciso: lunedì inizio la dieta!


Pubblicato su A, num. 38, settembre 2010.

domenica 5 settembre 2010


Sei la mia consolazione più pura,
sei il mio più fermo rifugio,
tu sei il meglio che ho
perché niente fa male come te.

No, niente fa male come te.
Bruci come ghiaccio e fuoco,
tagli come acciaio la mia anima,
tu sei il meglio che ho.


Karin Boye

giovedì 2 settembre 2010

L'ultima cena (?)


Saranno state la lontananza da casa (2638 km) e la vita in una città nuova in cui ricostruire da capo ad accendere in me la nostalgia per i tempi andati, sta di fatto che qualche giorno fa, mentre passeggiavo per le vie affollate di Gamla Stan, ho pensato che, in occasione del mio rientro in Italia per le vacanze di fine agosto, avrei potuto organizzare una cena di classe con i vecchi (?) compagni del liceo.
Fissare una data che andasse bene per tutti è stata un’impresa, ma, a parte qualche defezione, alla fine ce l’abbiamo fatta.
Mi presento puntuale all’appuntamento ansiosa di ritrovarli tutti.
Con alcuni il rapporto non è mai venuto meno in questi anni, di altri, invece, avevo perso traccia addirittura dalla calda estate che ci vide alle prese con la maturità. Tra questi ultimi Stefania, stilista in erba, che con entusiasmo mi racconta dei suoi studi in Accademia e dei primi passi nel mondo della moda.
Io l’ascolto rapita, cercando di rintracciare in quella voce, nei lineamenti e nel suo curioso modo di gesticolare l’adolescente che a scuola mi sedeva davanti disegnando tutto il tempo e che, all’occorrenza, passava due righe (incomprensibili) della versione di greco per farci copiare.
A tavola si torna indietro nel tempo.
La gita a Monaco, ad Atene, e quella volta che una papera ti morse? Ti ricordi? Chiediamo alla miss del gruppo che nel frattempo è partita con le imitazioni dei prof.
Ancora una volta, davanti ad una pizza tutti insieme.
E io mi chiedo cosa sia cambiato. Cosa ci abbia diviso e tenuti impegnati per così tanti anni senza riuscire minimamente a turbare quello che eravamo. Anche quando Agnese chiede il silenzio rivelando con emozione delle sue prossime nozze, lo fa con lo stesso sorriso semplice e disincantato che ogni giorno portava in classe.
Per cui tutto mi ritorna familiare, come sempre l’ho visto io da quell’ultimo banco che amavo.
Prima di andare abbiamo ancora un po’ di tempo per ridere davanti a delle vecchie foto e ad un filmino che per l’occasione Miryam deve avere chissà da dove riesumato. Qualche faccia è cambiata, è più tonda o più seria, ma alla fine tutti siamo ancora gli stessi. Con molti sogni in testa, tanta voglia di fare e la promessa di ritrovarci per una pizza insieme la prossima estate.

lunedì 9 agosto 2010

Laura ...


Cara Laura,
dalla mia stanza ti sento preparare la valigia.
Riempirla delle cose che ci hanno fatto compagnia, quelle che hai scoperto, che hai voluto trovare, che hai amato insieme a me.
Avevo messo in conto l’addio, la partenza, la tristezza nell’andare via, lasciare tutto agli altri che verranno, ma non potevo sapere quanto sarebbe stato forte e atroce pensare di non trovarti più col sorriso a colazione, con il sonno sul viso, la stanchezza nelle gambe, la voglia di voler vivere ancora un giorno pienamente, ancora uno, ancora uno.
Non chiedersi troppo, non affannarsi mai.
Ti devo una Fanta, e il frigo è ancora pieno della nostra spesa.
Del tè che ho rubato al vegetariano, delle polpette, di marmellata, delle fette al cardamomo.
Ti accompagnerò alla stazione. Ti vedrò partire.
Troverai nel tuo bagaglio i sogni che non pensavo di poter inseguire più, un po’ di quella che ero, un po’ di quella che sono dopo di te.
Dopo averti conosciuta, rincorsa per non perdere la metro.
Quanti pasticci combino e tu che li risolvi.
Tanto io sono goffa, tanto tu esemplare.
Ricordati di me mentre inciampo, mentre brucio i biscotti, arrivo al capolinea, mando in stampa il documento sbagliato, arranco con la bici, freno di colpo su un pedone, attraverso col rosso rischiando la vita, brucio la plastificatrice, frantumo i lampadari dell’Istituto (in totale chissà quanto dobbiamo al Ministero!), cado in acqua (oh, Grinda), assaporo l’ennesima Kanelbulle dicendo che “basta : da ora sono a dieta!”.
Io saprò di te che starai facendo qualcosa di buono, ovunque sarai dopo domani, qualcosa di giusto.
Fantastica come sempre, come sempre sei stata con me.
Arriva una mail.
Uno stupido sondaggio vuole saper se ad un anno dalla laurea ho beccato un lavoro. Non so chi leggerà la mia risposta.
Io scriverò che ho trovato un’amica!

venerdì 16 luglio 2010

VIVO a Stoccolma


Non ho da dirvi più di poche parole.
Le sole che possano farvi intendere come me la passo in questi caldi giorni svedesi.
Non avevo messo in conto di poter tornare a provare tanta leggerezza.
Tanto piacere nello stare assieme agli altri, o da sola tra gli alberi.
Come se mille fuochi molesti mi avessero sorpresa in un istante feroce e fossi tornata per la violenza di quell'ustione allo stato liquido. Sciolta. A fluire d'argento. Di nulla ho bisogno ancora. Di niente sento la mancanza. In me vado riscoprendo la stagione delle viole.

giovedì 8 luglio 2010




Ti cerco in ogni stella ferita, schiantata a valle.
Nelle praterie sconsacrate.
Tra le croste marine arse dai venti.
Ci sei tu nella terra saltata in quel pezzo di verde svelato.
Tu nel corallo.





In foto: Alberto Burri, "Sacco 5P", 1953.

lunedì 28 giugno 2010

28 giugno


Su un battello verso Mariefred ho dimenticato cosa fosse il tempo.
La distanza da me a dove.
Le ore. Le stelle. La porta. Il riferimento.
Ho preso forma di foglia. Più volte.
Forma di rosa i miei capelli stanchi incatenati al vento.
Mi sono chiesta quante spighe di sole ci fossero fra me e il cielo,
il suo lamento eterno, quell'orizzonte chiaro di rame fuso al centro.
Ho raccolto sulle onde del mare un canto per me.
Strazio azzurro che non ha fine mai.
Che un filamento dolce ricama a sera sul mio braccio.
Annoda il mio respiro alla sua eco.
La barca andava ed io con lei.
Il verde prima. Il verde sempre.
E più avanzava, più io restavo indietro.
Toccavo il fondo della terra nera fino all'incendio che la consuma
e, riemersa...
L'acqua.
Il livido della scogliera.
Per gli occhi passava un corteo di nuvole in posa, di seta.
Per essi la linea tracciata, il proibito dell'infanzia
quando è solo primavera.

giovedì 24 giugno 2010

Il giorno più lungo...


C'è una tradizione da rispettare!
Durante il venerdì del terzo fine settimana di Giugno si celebra in Svezia la festa di mezza estate (Midsommar), con la quale si accoglie ogni anno con gioia (e con ansia) l'arrivo della bella stagione.
Una ricorrenza che offre ai cittadini di Stoccolma l'occasione per fuggire in campagna, ritrovarsi con gli amici nei parchi più verdi e godere di momenti di svago e relax.
Sui prati si consuma un pic-nic dal menù nordico con aringhe marinate, salmone, fragole e snaps, tipica grappa aromatica, cantando e saltellando intorno all'albero di Maggio (Maypole), eretto per i festeggiamenti e decorato con foglie, rami, fiori e nastri colorati.
Nonostante sia stata poi cristianizzata e riconosciuta come festa di San Giovanni Battista, la celebrazione affonda tuttavia le sue radici più profonde in antichissimi riti, conservando radicate affinità con culti pagani.
Uno di questi, legato a Midsommar, mi affascina miseramente.
Un tempo, le fanciulle non maritate avevano l'usanza di raccogliere nei campi sette fiori di varietà diversa con i quali confezionare un bouquet che custodivano sotto il cuscino la notte prima della festa. Leggenda vuole che durante il sonno ogni ragazza avrebbe poi sognato il suo futuro sposo.
Se non per scetticismo, almeno per curiosità ho deciso di andare anch'io alla ricerca dei profetici fiori del destino.
Se riuscirò a prender sonno quella sera, nonostante l'impazienza per l'importante responso, a non sognare il criceto del vicino, mia zia in mutande o Joseph Roth (che è deceduto alquanto) e, più di ogni altra cosa, a ricordare tutto al mio risveglio, prometto: vi farò sapere chi la sorte (con-sorte) avrà scelto per me.

(Per precauzione intanto, eviterò il crisantemo).

giovedì 17 giugno 2010

Un vuoto per sempre


Capita a volte (ditemi che è successo anche a voi) di ritrovarsi al mattino inaspettatamente allegri, animati da buone intenzioni e pieni di voglia di fare.
Può accadere, in tali e piacevoli casi, di fischiettare un ritornello per strada, accellerare il passo saltando i gradini, salutare il vicino alterato sorridendo a un suo gesto scortese.
È in quei giorni insospettabili che una forza oscura governata da marte, mettendo in completo subbuglio il tuo già precario piano astrale, ti convince a pitturare le pareti di casa lasciate in bianco da mesi; a recuperare in soffitta il kit di bricolage per realizzare cornici con rami e conchiglie; preparare una torta a tre strati con panna, spumoni, meringhe e glassa alla vaniglia; montare i settantanove pezzi della scacchiera che hai preso all'IKEA; partire alla ricerca del Graal.
Una subdola energia calamitosa si impossessa delle tue ultime resistenze e non hai scampo.
Ero anch'io di buon umore ieri pomeriggio.
In biblioteca avevo lavoro arretrato e ho pensato di rendermi utile e darmi da fare.
Non ho neppure fatto in tempo a salire sulla scala, a raggiungere gli scaffali più in alto per riporre i libri e sistemarli in fila che: BUUUMM!! STAAAM!! CRASSSHH!! PATATRACK!!
A terra, in... penso miliardi, sì, in miliardi, trilioni di pezzi, riposava in pace il lampadario di Gio Ponti, unicum artistico di gran pregio.
Immagino sia ipotizzabile a questo punto, ne converrete anche voi, che, una volta tornata in Italia, di me in Istituto non si accuserà eccessivamente la mancanza.
Potrò almeno consolarmi sapendo con certezza di aver lasciato un vuoto per sempre.

venerdì 11 giugno 2010

Mi hanno proposto di restare ...


Ho costruito con le mie amiche italiane una bandiera svedese di cartone, l’ho sventolata con loro il 6 giugno a Skansen, ho aspettato l’arrivo del Re e della Regina intonando con centinaia di patriottici svedesi l’inno nazionale. Ho camminato per giorni, frantumando i chilometri, alla ricerca del miglior dolce alla cannella della città. Ho divorato il Pytt y Panna del Pelykan. Ero all’Ambasciata Italiana per la Festa della Repubblica su invito dell’Ambasciatore. Ho scoperto negli archivi dimenticati dell’Istituto Italiano di Cultura un’edizione di Vita di un uomo di Ungaretti con dedica ed autografo dell’autore. Ritrovato delle lettere di Moravia e Calvino. Ho le mani spaccate dalla polvere. Preso l’aereo da sola. Riso senza respiro come da troppo non mi accadeva. Allestito una mostra di libri antichi. Ho passato buona parte del tempo a stupirmi di quanto verde ci sia a Stoccolma, quanta natura. Un uccello mi ha cagato sul braccio domenica al parco. Passeggio accanto al mare tutti i giorni. Adoro Gunnar e Diego, il salmone e la torta al formaggio che mi mettono nel piatto. Il letto di Gio Ponti in cui dormo. Ho apprezzato le polpette con la marmellata e non dico mai di no al cioccolato fondente col peperoncino. Sto abituandomi al cambio poco vantaggioso dell’euro, all’allarme che prima o poi farò scattare, al sapore dell’aneto nelle patate, al fresco che di sera arriva dal canale, al cielo ancora chiaro di notte. Non ho disertato il festival culinario e ci sarò per le nozze della Principessa. Non posso più fare a meno della fika. Amo le lampade accese delle case di Ostermalm, il Moderna Museet, la mia bicicletta. In svedese so solo dire grazie e ciao, le uniche parole di cui un uomo avrebbe bisogno per vivere.
Ho paura di allontanarmi da qui, ma probabilmente non avrò il coraggio di rimanere.

martedì 1 giugno 2010

Biblioteca[ria]



Così Laura, paziente bibliotecaria dell’Istituto Italiano di Cultura che umilmente sto affiancando in questi giorni di tirocinio a Stoccolma, esordisce serafica: “Volevo farti sapere che a fine mese sarò in ferie e lascerò tutto nelle tue mani. Tue la gestione e la responsabilità della biblioteca. Ti occuperai della circolazione. Ecco gli orari di apertura al pubblico. Qui le schede di prestito. Vanno compilate, stampate, firmate, consegnate. Da qui ricevi e inoltri le chiamate. Qui trovi le informazioni sugli utenti. Mi raccomando fai il backup ogni sera, ecco le chiavi dell’archivio, i periodici sono... cia.. cia.. cia..”. Le ultime parole non le ho neanche ascoltate, non sono riuscita proprio a decifrarle.
Il panico, la salivazione arretrata, il battito alterato, accelerato (scomparso), i famosi vuoti di memoria, le vertigini, un improvviso e non proprio inspiegabile senso di pericolo, imminente, nauseante, tutto questo è niente in confronto alla fifa più completa che mi ha sorpresa in un momento e che a malapena il mio istinto di sopravvivenza è riuscito a celare dietro un sorriso ebete e poco rassicurante.
Io , sola, biblioteca, tanti svedesi = casini (internazionali). Neanche Caramello (il mio gatto lesbo) lascerebbe in custodia a me le sue crocchette di pesce. La mia goffaggine è proverbiale ed è capace di ogni cosa, non conviene sfidarla, è tenace e riesce in tutto quello che fa, e in tutto quello che faccio.
Sarà proprio questa l’occasione per smentirne la potenza distruttrice?
Beh, ai posteri l’ardua sentenza! Se ci sarà ancora qualcuno. (Dobbiamo rendere noto che al momento non è dato sapere se a seguito dell’esperimento di cui sopra, vi saranno ancora esemplari viventi sulla terra.)


In foto: Biblioteca dell' Italienska Kulturinstitutet di Stoccolma.

giovedì 13 maggio 2010

Concerto CONT∃MPORANEO


12 maggio 2010, ore 19.
L'Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma ha il piacere e l'onore di ospitare l'Ensemble Orchestral Contemporain diretta dal maestro Daniel Kawka. Evento organizzato da concertisti francesi, registrato e trasmesso dalla Radio Svedese su frequenze nazionali.
All'appuntamento arrivo puntuale.
Prendo posto in sala, le luci calano, il sipario si apre, gli strumenti sono in scena e i musicisti, vincendo le ultime timide resistenze, fanno la loro entrata.
Il silenzio che riempie il teatro e l’attesa del primo suono che spezzerà la monotonia stanno per finire.
Ci siamo, il concerto può iniziare.
Prima una pioggerella, uno scroscio ogni tanto : splash!
Poi l’acquazzone, il temporale, la tormenta, aghi sottilissimi, capelli di sirena: do, re, mi, mi, la, si, si, fa, re, re, do... e mentre una serie di armoniche voci di carta prende vita sul palco io mi chiedo, e non trovo risposta, che fine fa la musica?
Dove va a dormire quando l’ultima corda dell’ultimo violino ha fatto vibrare nell’aria angeliche intermittenze?
Come si esaurisce?
Dove si nasconde e che pause abita dopo l’applauso?
Nessuno l’ha mai vista.
Si contempla nel durante. Nel prima e nel dopo non esiste?
Anche l’acqua ritorna alla terra, talvolta come neve.
Le note si mangiano fra loro al di fuori del tempo.

Così rapita dal traviante ragionamento, mi accorgo di non aver capito molto del concerto, e so che forse mai potrò (un salto nel buio) della musica.

lunedì 10 maggio 2010

Valore

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finchè dura il pasto, un sorriso involontario,
la stanchezza di chi non si è risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varrà più niente
e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido,
chiedere permesso prima di sedersi,
provare gratitudine senza ricordare di che.
Considero valore sapere in una stanza dov'è il nord,
qual'è il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca,
la pazienza del condannato,qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare
e l'ipotesi che esista un creatore.
Molti di questi valori non ho conosciuto.


Erri De Luca

giovedì 6 maggio 2010

La valigia sul letto..


Chiudere finalmente la valigia, dopo averla riempita oltre ogni logica fisico-spaziale, per una donna vuol dire soltanto lasciar campo ad una lunghissima serie di ripensamenti. E così i pochi capi, solitamente mai indossati, rimasti nei recessi più bui dell’armadio sabotato, per uno strano scherzo del caso (del caso?) rientrano improvvisamente in gioco. Un pantalone con l’orlo scucito diventa assolutamente di moda; la vecchia camicia a fiori si scopre vintage; l’abito della mamma di due taglie più ampio, vistosamente ricamato, a balze e dal colore improbabile, addirittura una rarità da collezione. In poche parole vengono riabilitati. Ricollocati ai vertici di una gerarchia immaginaria e quanto mai flessibile. Ammessi per indulgenza tra gli “indispensabili”.
E non c’è cura o soluzione al circolo vizioso che instaura inconsapevole la giovane in partenza. Solo ormai giunta a destinazione, infatti, realizzerà di aver fatto le scelte sbagliate.
Eppure non crediate che si dispererà per questo.
Avrà una ragione in più per fare spese sul posto.

lunedì 3 maggio 2010

Pⓞⓔsiⓐ

Bella ridente e giovane
con il tuo ventre scoperto,
e una medaglia d'oro
sull'ombelico,
mi dici che fai l'amore ogni giorno
e sei felice e io penso che il tuo ventre
è vergine mentre il mio
è un groviglio di vipere
che voi chiamate poesia
ed è soltanto tutto l'amore
che non ho avuto
vedendoti io ho maledetto
la sorte di essere un poeta.

Alda Merini

lunedì 26 aprile 2010

ELOGIO DEI SOGNI

In sogno
dipingo come Vermeer.

Parlo correntemente il greco
e non soltanto con i vivi.

Guido l'automobile,
che mi obbedisce.

Ho talento,
scrivo grandi poemi.

Odo voci
non peggio di autorevoli santi.

Sareste sbalorditi
dal mio virtuosismo al pianoforte.

Volo come si deve,
ossia da sola.

Cadendo da un tetto
so cadere dolcemente sul verde.

Non ho difficoltà
a respirare sott'acqua.

Non mi lamento:
sono riuscita a trovare l'Atlantide.

Mi rallegro di sapermi sempre svegliare
prima di morire.

Non appena scoppia una guerra
mi giro sul fianco preferito.

Sono, ma non devo
esserlo, una figlia del secolo.

Qualche anno fa
ho visto due soli.

E l'altro ieri un pinguino.
Con la massima chiarezza.


Wislawa Szymborska


Nata nel 1923 a Kornik (Polonia), Premio Nobel per la Letteratura nel 1996.

Wislawa Szymborska, La gioia di scrivere, Tutte le poesie (1945-2009), Adelphi, 2009.

venerdì 23 aprile 2010

Buone nuove !

Leggo la posta arretrata, pochi messaggi quasi tutti da cestinare all’istante. Pubblicità (eliminata), promozioni varie (nemmeno considerate); saldi, saldi, saldi (pufh, pufh, pufh, dispersi nell’etere); sconti eccezionali di cui approfittare assolutamente, prestiti mai richiesti, propaganda politica (pol-ve-riz-za-ti). Ho annientato il nemico con i miei poteri cibernetici. Se il mittente, infatti, ha dalla sua la grafica villana, i colori fluorescenti e la psicologia spicciola e insinuante per poter attrarre l’incauto lettore, il destinatario è però provvisto di un tasto malefico ed estremamente risolutore, talvolta coincidente non solo con la volontà del momento, ma con la sua stessa natura di uomo (o di lupo): ELIMINA!
Facevo pulizia nel mio archivio, dicevo, e mi accorgo di una mail diversa, elegante, attesa da sempre e da mai. “La Dott. Izzi è stata selezionata per il posto da tirocinante presso l’Istituto Italiano di Cultura a Stoccolma. Si prega di riferire dell’eventuale accettazione o rinuncia entro due giorni dall’invio della comunicazione, pena la decadenza dell’offerta”. Dieci secondi per rileggere attentamente il testo della lettera, potrebbero essersi confusi i miei occhi; sette secondi per elaborarne il contenuto; pochi attimi per confermare il mio impegno ai responsabili del Ministero degli Affari Esteri; un’ora per riderne da sola, a squarciagola, alla faccia di tutti i gufi miscredenti, alla faccia mia che non speravo più, alla vita che ricomincia dopo un anno, a primavera, come gli alberi e le rose.
Per cui si parte. Fra pochi giorni sarò in Svezia.
E nonostante la mia valigia sia ancora vuota, ho già un biglietto (di sola andata) e non vedo l’ora.

martedì 20 aprile 2010


Mi sento uno stambecco nei polsi. Salta, salta, ricade sulle zampe forti di chi non ha paura se inciampa, salta, salta, salta, riprende fiato solo per poter correre ancora, più forte, e salta, sorride mentre salta. Salta perché sente più vicino il sole.
Un serpente tornato alla luce, dopo aver cambiato pelle due volte, tre volte, infinite se cerco di contarle, così mi sento, se vuoi sapere.
Una luna tornata piena, una torta riuscita, l’aquilone solitario che sorvola la vetta.
E così parto. Fra poco confonderò le ore. Porterò con me il giorno, qui lascerò la notte. E quando a sera tarda ci sarà ancora luce sul mio balcone, penserò al tuo profilo d’erba e alle ginestre che piantammo insieme.


Sara

martedì 6 aprile 2010

⑥ APRILE / 10


Quello che ho nel petto da un anno è il cuore di uno straniero.
Batte solo e più forte quando ti penso.
Un groviglio di polvere e sangue,
pietre su pietre, silenzi e lacrime
sferraglia nello stomaco,
scava e trova marcio.
Avvelena le notti che mi separano da te.
Non è il tempo che ci cambia, è la malinconia che ci fa vecchi in un giorno.
E io a te cerco e per te sento la mia estate finire.

a L'AQUILA

Sara
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